Fai Bei sogni , nuovo film di Marco Bellocchio

Fai bei sogni di Marco Bellocchio è il film che segue il successo dell’omonimo romanzo del giornalista Massimo Gramellini. Nel libro con piglio autobiografico, lo scrittore racconta il trauma della scomparsa della madre e lo fa con continui flashback tra passato e presente, creando così un’armonia di racconto tra il Massimo bimbo e le sue esperienze, e il Massimo grande, che da adulto a causa di questo vissuto negativo è sentimentalmente vicino alla sterilità.

Nonostante questa premessa, non staremo qui a dire quanto il film assomigli al romanzo, anche perché fin dalle prima inquadratura il sentimentalismo bonario del libro originale, è sostituito dall’estetica simbolica e cupa di Bellocchio, alla fine Fai bei sogni risulta convincere meno per l’austerità del registro, sempre molto distante dalla carica emotiva delle storia raccontata.

Fai bei sogni è un prodotto che certamente affascina attraverso lo sguardo particolare del regista che qui diventa una cupa coltre attraverso la quale osservare i drammi degli altri, cioè il tema della perdita. E su questo sembra che Bellocchio decida, soprattutto nella prima parte del film, di rispettare l’incedere cronologico della storia e di muoversi nel passato del protagonista in maniera libera rispetto alla struttura del romanzo; più riflessiva come tono e più ballerina nel rapporto tra passato e presente. Questo per il regista vuol dire essenzialmente poter indugiare sull’infanzia del piccolo Massimo riscoprendo con piglio anche surreale tutta la serietà della Torino bene del 1969.

Un ambiente scuro e impenetrabile del quale Bellocchio coglie la cupezza e centra così il tono di un racconto del quale non rinnega mai l’indole asciutta e severa. Dalla storia del piccolo Massimo (Nicolò Cobras) a quella del grande Massimo (Valerio Mastandrea), che nel suo non riuscire ad amare da adulto ha sia il peso, sia il sollievo di avere accanto un’amante come Elisa, l’attrice Berenice Bejo, Fai bei sogni appare come un dramma contenuto, da vero e proprio periodo di austerity, che seppur dimostrando un grande rispetto per il pubblico. Per questo, decidere di non cercare mai la lacrima facile a volte è un lavoro che lascia troppa distanza, a tratti quasi siderale, tra la pancia dello spettatore e ciò che invece gli viene mostrato.

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