5 agosto 1962: muore, Marilyn Monroe

La trovano morta in una notte tranquilla e afosa, mentre si annuncia l’alba del 5 agosto 1962, al numero 12.305 di Fifth Helen Drive, non lontano dal Sunset Boulevard, il viale del tramonto. è una morte che le assomiglia: sola, nuda, la faccia in giù, una mano protesa verso il telefono, il flacone del sonnifero lì accanto. Di quella morte si dirà tutto e non si saprà nulla, come se Marilyn continuasse ancora a morire. Chi la vuole suicida avvelenata dai sonniferi che la accompagnavano come diavoli custodi, chi uccisa dalla Cia per proteggere i Kennedy, chi dalla mafia contro i Kennedy, chi morta per errore. Ogni nuova versione ricama sull’acqua e lentamente, come un’impronta sulla sabbia, svanisce per lasciare posto alla successiva, in una corsa allo scandalo e alla spremitura delle ultime emozioni. Anche la morte di Marilyn, come quella di JFK, resterà per sempre un mistero americano.

Il caso è chiuso
La polizia chiude rapidamente, forse troppo, il caso: avvelenamento acuto da barbiturici. Come lo chiudono i produttori che avevano guadagnato milioni di dollari su di lei e non gliene restituiscono neppure dieci in un mazzo di fiori. Ad accompagnare la “bionda” nel suo ultimo viaggio c’è solo Joe Di Maggio, l’ex marito, con pochi amici. La Hollywood che conta ha altri impegni e, nella sua volgare presunzione, non capisce che con lei finisce il tempo irripetibile delle star.

Un angolo di eternità
Muore disperata vincendo il terrore della morte come per 36 anni aveva vinto la paura della vita. Ma per chi l’ha amata resta sorridente, nel suo angolo di eternità, scintillante alla Marilyn, con i capelli a colpo di vento, la camminata “alla Niagara”, la scollatura atomica, appollaiata suoi suoi vertiginosi tacchi a spillo e una bottiglia dell’adorato Dom Pérignon a farle compagnia. Se ne va portandosi via il candore della sua spregiudicatezza, affogata nel mito che le hanno cucito addosso. «Se chiudi gli occhi e stendi la mano – dice Billy Wilder – ti pare ancora di toccarla». Ma le parole più vere, semplici e disperate, è Marilyn a dedicarle a se stessa, pochi giorni prima di morire: «Mi piacerebbe – dice in un sospiro – essere accettata per quello che sono».