Cristobal Balenciaga: quando non è più il tuo tempo, meglio fare le valige e uscire di scena che la festa è ancora in corso. Così almeno tutti ricorderanno la tua eleganza, non il tuo declino.

Non leggeva libri, a volte basta l’immaginazione. Non abitava le case che collezionava, preferiva arredarle. Non frequentava nessuno, non voleva sentir parlare di soldi, non sopportava che qualcuno parlasse e tantomeno tossisse durante le sue sfilate. Non. Cristobal Balenciaga era lo stilista del non. Non si fa, non si deve, non si commenta. Genio del taglio, sarto massimo, ‘Titano della moda’ come lo descrisse nientemeno che Cecil Beaton. A 45 anni dalla sua morte due mostre imperdibili lo celebrano a Londra e Parigi mentre in passerella Demna Gvasalia, designer che gli avrebbe fatto orrore, ne riporta in auge la leggenda aggiornandola e anche stravolgendola.

LA STORIA DI CRISTOBAL: GLI INIZI
Figlio di un pescatore, destinato al mare e alle barche, il piccolo Cristobal nasce nel 1895 a Guetaria sulla costa basca, in Spagna. Fin da piccolo ha una sola passione: cucire accanto alla madre che arrotonda così lo stipendio di famiglia. La leggenda vuole che una domenica, all’uscita della messa, vede una ricca signora, la Marquesa della famiglia Torres, apparire con un tailleur di tussor bianco e cappello di paglia coperto da chiffon marrone annodato sotto il mento. È la folgorazione. ‘Voglio fare un abito bello come il suo’, dice il bambino. La Marquesa accetta la sfida. E Cristobal la vince: in soli 5 giorni, replica alla perfezione un modello di Poiret, guadagnandosi la stima della signora che diventa la sua benefattrice aiutandolo ad aprire atelier a San Sebastian, Madrid e Barcellona per poi approdare a Parigi, nel 1937, a causa della guerra civile in Spagna

IL SUCCESSO DI BALENCIAGA
Basta una sola collezione di Cristobal nella Ville Lumière e tutte sono pazze di Balenciaga. La marchesa Lanzol, donna più elegante di Spagna. La Duchessa di Windsor. Yoel Guinness, milionaria messicana. E la regina Fabiola del Belgio. Tutte arrivano in silenzio, pagando subito e in contanti, nell’atelier che sembra una chiesa consacrata. Non si parla, non si tossisce, le modelle devono stare zitte, fare il muso da bulldog e portare il broncio. Mentre da Dior si fa festa, qui sembra di assistere a un funerale. Invece è qui che nasce un’eleganza che durerà per sempre. Immacolata, perfetta, astratta. Balenciaga crea abiti che si staccano dal corpo per inventare nuovi volumi, nuove traiettorie. Sono come personaggi di film, supereroi del tessuto: portano le donne su un altro pianeta, un universo di bellezza lontano anni luce. Lavorerà per il cinema, non si farà mai vedere in luoghi mondani, diventerà temuto come una divinità distante e cattiva.

Lui, però, nel privato è un bambino, frequenta solo la famiglia, viaggia poco, crea moltissimo. Fino a quando arriva il 1968 e, sempre secondo le leggende, una sua affezionata cliente arriva in atelier con jeans e camicia bianca. Cristobal la guarda e le chiede ‘cos’è questo abbigliamento?’. La signora spiega che sono i tempi moderni, che ora ci si veste così. Lui la guarda, la studia e commenta, ‘bene, allora da oggi il mio lavoro non serve più’. Detto, fatto: si chiude bottega. Più tardi negli anni, precisamente nel 2009. il Gucci Group acquista Balenciaga che viene affidata a Nicolas Ghesquière (ed è un successo), per poi passare al Gruppo Kering e nelle mani di Alexander Wang (ed è un disastro) e infine finire in quelle di Demna Gvasalia (e sembra una risurrezione). Certo, a Cristobal tutto questo avrebbe fatto orrore. Ma per lui era già tutto chiaro: quando non è più il tuo tempo, meglio fare le valige e uscire di scena che la festa è ancora in corso. Così almeno tutti ricorderanno la tua eleganza, non il tuo declino.

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