L’11 novembre scompariva a Milano, la regina della rivista

Non fu ballerina, ma eccelleva nel “birignao”. Voleva fare il teatro, studiò il violino ma le bastava camminare per incantar tutti. Figlia del palafreniere battistrada di Umberto I, tale fu la sua fama che per lei venne coniato un superlativo assoluto, fino ad allora riservato agli aggettivi, e diventò “la Wandissima”. Memorabile il grande sodalizio con Macario e Dapporto. Religiosa e superstiziosa, non sopportava il colore viola e gli uccelli, neppure di stoffa.

Ma perché Anna Maria Menzio all’apice del successo, uscì di scena e scese un’ultima volta la copia della scala del Vittoriale e Notre Dame, per tornare a vivere una vita normale con il suo vero nome?
Non eccelleva in campi specifici se non in quel modo studiatissimo di arrotare e ampliare le parole in cui solo Tina Lattanzi le stava al passo. La Osiris, il cui cognome d’arte “egizio” nacque dal matrimonio Iside e Osiride, fu un effetto speciale dello spettacolo. “Donna da spolvero” nel 1937, cantava d’amore e fece ridere accanto Totò, Bramieri e Vianello. Si ossigenò i capelli e inaugurò la moda del turbante ma vantò in sala spettatori eccellenti: Mussolini scese da una carrozza, a Riccione, per farle i complimenti, De Pisis le dedicò un ritratto mentre De Chirico le scarabocchiò un profilo su una tovaglia.

Perfino quelli che negli anni Quaranta erano bambini la ricordano, chi appassionatamente, chi rispettosamente, come un mito, un luccicante simulacro di un’ epoca della storia italiana. Di quando i giovanotti facevano il diavolo a quattro per entrare al Lirico o al Mediolanum e estasiati l’ ammiravano, si prendevano a pugni per vederla da vicino, facevano l’ una di notte e poi tornavano a casa a piedi perché di altri soldi da spendere non ce n’ erano. Nei trent’ anni di successo, Wanda Osiris aveva dato un segno diverso a un periodo per molti versi angoscioso, con la guerra, gli oscuramenti, i bombardamenti, la difficile ricostruzione. Lei stessa era diversa: perché tra le tante dive e divette del vecchio varietà, era celebre come Josephine Baker o Mistinguett, ma “casta”, impenetrabile come una vera signora. Diceva di sé: “Noi stelle del varietà non abitiamo la terra ma lo spazio”. Fu forse questo suo “fascino siderale” che ispirò un anonimo regista di operette: vedendola ancora ragazzina e sedotto dai grandi occhioni già allora truccatissimi sotto la frangetta lunga e nera, pensò subito a una dea egiziana. Ma siccome il regista di mitologia ne masticava poca, le affibbiò al posto del nome della dea Isis, quello del dio Osiris. Fu allora, che Anna Menzio, figlia del palafreniere e primo battistrada di Umberto I, divenne Wanda Osiris. Contro la volontà della famiglia, da cui era fuggita a 16 anni per seguire la passione del teatro e quindi la compagnia di Piero Mazzuccato, dove già nel ‘ 23 aveva cominciato i primi passi da soubrette, al cinema Eden di Milano. Si esibì anche con Totò (Il piccolo caffè), finché nel ‘ 37 ottenne il nome in ditta con la Finechi-Donati, con cui consacrò alla storia la sua leggendaria carnagione color ocra, risultato di ore e ore di trucco e di un consumo spropositato di cerone che, insieme ai fiumi di profumo Arpège, restò uno dei fondamenti del suo “personaggio” per sempre.

A 33 anni Wanda Osiris intraprese spedita la strada verso la leggenda. Era il ‘ 38 e, così lo raccontava lei, la moglie di Macario la convinse a entrare in compagnia col marito. “Macario di donnine ne aveva a volontà, ma aveva bisogno del gran nome. Arrivai io”. La numero uno. Divenne ancora più regale, più sensazionale, più eccentrica. Ballare, ballava poco. Recitare non le era nemmeno richiesto. Cantare, lo faceva a modo suo, con quella vocina leggera e le vocali trascinate all’ inverosimile, le erre arrotate ad arte… Eppure Wanda Osiris, era un sogno: saranno stati i suoi sguardi malandrini, i suoi abiti-monumenti, la sua eleganza innata che poteva permettersi ogni tipo di eccesso. E poi, certo, le famose scale.
Fu Follie d’ America nel ‘ 38 a segnare la prima storica discesa dalle scale, che poi via via sarebbero diventate scaloni, e poi veri e propri monumenti (“un’ ossessione, una disperazione – ricordava lei – temevo sempre di cadere, anche per via dei tacchi che portavo”) ispirati ora al Vittoriale, ora a Trinità dei Monti come in Festival del ‘ 54 che, pur avendo autori, come Age, Scarpelli, Verde, Vergani, Paone e la supervisione di Visconti, fu uno dei suoi primi clamorosi fiaschi. Il suo lusso soave, le sue piume e paillettes con la guerra invece di sparire aumentarono: tra bombe e macerie, la Wandissima (fu Orio Vergani a coniare questo nome) si presentava come un sogno di felicità, di ricchezza, spensieratezza.
Divenne la monarca assoluta del varietà. Lasciato Macario, formò nel ‘ 42 compagnia con Dapporto. E ne fece delle belle: in Sognate con me intonava meste canzoni di guerra dedicate all’ amato lontano, sdraiata in un aristocratico salotto, affogando le mani in prelibate pietanze, e non fa niente se in quel momento la gente mangiava le bucce di patate. Ancora più improbabile una rivista come Che succede a Copacabana di Bracchi e D’ Anzi, dove esordirono i famosi boys, e fu lanciata Ti parlerò d’ amore: fuori c’ erano i bombardamenti, in palcoscenico una scala infinita, argentata e, sospesi, una miriade di lampadari con le gocce di diamanti luccicanti. Sandro Bolchi lo ricorda così (dal libro “Sentimental” di Rita Cirio e Pietro Favari): “Di colpo un profumo forte, ma così forte che veniva da piangere. Lei scendeva come un angelo. La pelle si accendeva e si spegneva: a volte bianca, a volte ocra, a volte azzurra… Tutti in piedi a gridare ‘ Wanda, Wanda, Wanda’ . Lei ringraziava e sorrideva, sorrideva e ringraziava. Finalmente cominciò a cantare e mentre cantava buttava delle rose in platea. Ci fu una rissa per prenderle”. L’ isola delle sirene fu l’ ultimo spettacolo della Osiris-Dapporto nel ‘ 45. Già dall’ anno dopo, la Wanda continuava nei suoi eccessi con Garinei e Giovannini con cui ebbe i maggiori trionfi a cominciare da Si stava meglio domani, Galanteria. Al Grand Hotel del ‘ 48 lanciò la leggendaria Sentimental e soprattutto la più lunga scala della carriera, e in Domenica è sempre domenica, oltre a una gigantesca conchiglia, c’ era da ammirare Wanda-Otero, che entrava in scena con un folto branco di levrieri al guinzaglio. E poi Made in Italy, La granduchessa e i camerieri che fu il suo ultimo vero successo nel ‘ 55. Nel ‘ 57 al Politeama di Napoli andarono a fuoco piume e vestiti di Fuoriserie. Lo spettacolo fu sospeso e anni dopo Wanda Osiris confessò: “Avrei dovuto smettere allora”. Perché lì iniziò un malinconico declino. Qualcosa era cambiato: non lei, ma il resto del mondo. La Wandissima, proseguì fino al fiasco di Doppio rosa al sex del ‘ 59 e poco oltre. Si prese una piccola rivincita al Gerolamo di Milano con Una sera con Wanda, dove i fan si presentarono con una rosa, in ricordo di una carriera trionfale. Lei si mise da parte, ad eccezione di qualche apparizione (nel ‘ 74 Nerone è morto? di Aldo Trionfo). Al teatro aveva dato sogni, ricchezza, eleganza, i suoi soldi e una gran quantità di rose. Quelle rose baccarat su cui vuotava flaconi di Arpège prima di lanciarle in platea. La leggenda vuole che qualcuno ancora le conservi. E, si dice, profumano ancora

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