L’incredibile storia di Vivian Maier, «la fotografa ritrovata»

La vicenda di Vivian Maier ce lo dice di nuovo: l’abito non fa il monaco. Sotto i panni grigi di un donnone alto e non particolarmente aggraziato, che ha passato l’esistenza intera appresso ai pupi di benestanti famiglie americane, si nasconde uno dei talenti più sorprendenti della street-photography del Novecento. Talento vero e innovativo, ché quando Vivian Maier (1926—2009) ha preso in mano la macchina fotografica, nessuno si azzardava a scattare «per strada», fuori dalle luci protette di uno studio.

Oggi le sue foto fanno il giro del mondo (più in là vi racconteremo chi dobbiamo ringraziare) e se vi siete persi, un paio d’anni fa, la bella mostra al Man di Nuoro e lo scorso anno quella all’Arengario di Monza, andate a Roma: apre il 17 marzo fino al 18 giugno, Vivian Maier. Una fotografa ritrovata (al museo di Roma di Trastevere). Trovate centoventi foto, selezionate da Anne Morin e Alessandra Mauro, che Vivian Maier scattò tra gli anni Cinquanta e Sessanta e anche alcune deliziose immagini a colori di una quarantina di anni fa, insieme a brevi video e filmati in super8.

Vi proponiamo nella gallery in alto una selezione: le foto di Vivian Maier «parlano da sole» e registrano, con i loro tagli obliqui e un uso sapiente della macchia fotografica, la cronaca su strada di diverse città americane, tra cui Chicago, Los Angeles, News York. Ci sono bambini, innamorati che passeggiano, mendicanti, operai. C’è la vita della metropoli, le luci dei quartieri alti, le ombre dei vicoli più miseri.

Molte fotografie, specie quelle su Chicago, sono state scattate mentre Vivian accudiva i figli che le erano stati affidati, altre sono state fatte nei suoi rari momenti liberi.

Per anni Vivan è stata solo la «tata francese» (la sua famiglia era di origine alsaziana), la zitella con qualche amica e nessuna confidente, e di certo nessun amore. Mentre lei, nella stanzetta messa a disposizione dalla famiglia presso cui abitava, coltivava una passione immensa. Osservatrice compulsiva, registrava tutto: fotografie, foglietti, cartoline e poi, quando aveva potuto permettersela, video in super 8, che testimoniano anche i viaggi che fece (lei, la nanny zitella, se ne andava in vacanza on the road negli States e ai Caraibi, incurante degli sguardi altrui, forte del suo aspetto anonimo).

Della doppia vita di tata Vivian non avemmo mai saputo nulla se John Maloof, scrittore e giornalista americano, non si fosse trovato in difficoltà mentre stava scrivendo un libro storico su Chicago. Cercava materiale fotografico per illustrare il volume: andò a una battuta d’asta, una di quelle in cui si mettono in vendita gli oggetti pignorati dal fisco. Si aggiudicò per meno di 400 dollari un baule con dentro parecchia documentazione sulla città, materiale confiscato per il mancato pagamento dell’affitto di un piccolo appartamento. Di fatto, il più grande tesoro fotografico nascosto del secondo Novecento: una miniera di fotografie in bianco e nero e a colori, pellicole non sviluppate, stampe e filmini. Era il 2007 e Vivian Maier stava passando un periodo molto duro: poverissima, sola, malata e anziana, fu costretta a vendere gli oggetti di casa (compreso il baule con tutte le foto: possibile che non ricordasse di averle messe lì, lei che ne era gelosissima, lei che non faceva vedere i suoi lavori a nessuno?).

Poco dopo l’asta, l’anziana tata cadde per strada a New York e riportò una grave ferita alla testa che ne compromise per sempre la lucidità: Maloof non riuscì mai a farle sapere che aveva le sue foto e che era disposto a organizzarle un archivio, delle mostre, a mostrare al mondo i suoi incredibili lavori (guardate che bel progetto ha messo in piedi on line

Tata Vivian ha passato letteralmente la vita prima con la Rolleilex poggiata sul ventre e poi con la Leica davanti agli occhi: va considerata come la prima street-photographer e anche una sorta di iger, perché adorava ritrarre all’improvviso (quasi tutti i protagonisti delle sue foto sono soggetti inconsapevoli delle sue storie in pellicola).

Modernissima, la Maier. Tanto che persino artiste di oggi come l’americana Gail Albert-Halaban insistono ancora su progetti fotografici «dietro le vite degli altri» che somigliano ai suoi lavori: il fascino degli sconosciuti, fissati dalla macchina fotografica, sta dando vita in questi giorni anche al contest #outofmywindow (leggete qui, se la fotografia vi appassiona).

Potrebbe essere una storia triste questa della tata Vivian che passò la sua esistenza in sordina, a fare letteralmente da balìa a bambini destinati a carriere gloriose, mentre era lei stessa a possedere un talento non comune, ma non lo è.

Chi l’ha conosciuta la ricorda come una donna indipendente, volitiva, forte. Oltre ai suoi straordinari lavori, restano impressi su carta fotografica il suo volto enigmatico, i capelli corti, la figura imponente: la vediamo nel riflesso di una vetrina o di uno specchio, questa tata che ha cambiato, con dedizione silenziosa, la storia della fotografia.

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