A Bob Dylan il Premio Nobel per la letteratura.

Al menestrello della controcultura il premio più ambito, che lo consacra tra i maggiori poeti della storia. Bob Dylan è il vincitore del Nobel 2016 della Letteratura. Il riconoscimento dell’Accademia di Svezia ‘per aver creato nuove espressioni poetiche nella grande tradizione musicale americana’. Bob Dylan, alias Robert Allen Zimmerman, è forse il più enigmatico tra i geni della musica popolare.

I MILLE VOLTI DI BOB DYLAN

Nessuno come lui si è accanito contro il suo mito, divertendosi a spiazzare pubblico e critica con scelte sorprendenti che vanno dalla svolta elettrica degli anni ’60 alla conversione al credo dei Cristiani rinati fino al recente approdo agli spot pubblicitari, Victoria’s Secret compreso (ma per gli investitori rappresenta un testimonial formidabile). Per non parlare del rapporto che ha con il suo repertorio, che rende spesso indecifrabile al pubblico dei suoi concerti. Menestrello di Duluth, 24 maggio 1941, è un gigante della cultura degli ultimi 50 anni.

Dylan è il primo americano a vincere il Nobel dai tempi di Toni Morrison nel 1993. A 75 anni continua ad essere sempre sulla breccia nel 2008 aveva conquistato il Pulitzer per “il potere poetico delle sue canzoni”, primo musicista rock a essere insignito di un premio di solito conferito ai big della letteratura. E’ il quarto ebreo americano ad aver vinto il Nobel per la letteratura. Il cantautore, il cui vero nome è Robert Allen Zimmerman, è però l’unico nato negli Usa. Gli altri sono Saul Bellow, nato in Canada, che ha vinto nel 1976; Isaac Bashevis Singer, nato in Polonia, premiato nel 1978; e Joseph Brodsky, nato in Unione Sovietica, Nobel per la Letteratura nel 1987. Un altro scrittore ebreo-americano, Philip Roth, è da anni uno dei grandi esclusi del Nobel per la Letteratura.

A 75 anni Dylan è ancora sulla breccia: lo scorso week end, con altri “grandi vecchi” del rock come i Rolling Stones, Paul McCartney e Neil Young, e’ salito sul palco del festival di Desert Trip in California, una sorta di “Woodstock della terza eta’”. “Dylan ha sempre riarrangiato le sue canzoni in concerto, giocando con le parole e lasciando intatte solo poche delle sue iconiche incisioni. Stavolta ha rivisitato alcuni dei suoi brani piu’ caustici e spietati – tra questi “Masters of War” del 1963 e “Ballad of a Thin Man” del 1965 – cantandoli con profondo veleno che usciva dalla sua voce consumata dal tempo”, ha riferito il New York Times. Per il Washington Post “queste canzoni sembravano sopravvissute per un pelo gli ultimi 50 anni. Le loro parole intasavano la gola di Dylan come se lui le stesse trascinando attraverso i decenni per portarle qui, davanti ai nostri orecchi”.

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