Torna “Braccialetti rossi

Raccontare la malattia in un film pieno di vita. Questa è la scommessa, vinta a furore di delirio adolescenziale, di Braccialetti rossi, arrivato alla terza serie e senza più la rete di sostegno del format spagnolo, fermo a quota due. Perciò approfondimenti, storie, intrecci solo nostrani, tesi a dimostrare che con i valori buoni e con i sentimenti tutto si può affrontare, se non proprio sconfiggere. Perché a sentire il cast tecnico e gli interpreti, si tratta di una fiction di guerra, dove il nemico da uccidere abita nel corpo di un ragazzo per consuetudine chiamato ad affacciarsi alla vita.

Un progetto «che inaugura un nuovo modo di fare servizio pubblico, portato avanti con un linguaggio potente che parla di paura, di morte, di dolore», dice Tinny Andreatta responsabile di Rai Fiction. E i numeri indicano un fenomeno sul quale interrogarsi e che apre le porte a un nuovo punto di vista.

Da domenica per otto puntate su Rai 1, regia di Giacomo Campiotti, con un inizio anticipato alle 20.35 per permettere anche ai più giovani di andare a scuola per tempo il giorno dopo. Ma che cosa piace tanto ai ragazzi che fin dal mattino della presentazione anticipata stazionano sul marciapiede della Rai per vedere in faccia i loro idoli, sani e sorridenti? «I personaggi ricchi di umanità e di sfaccettature – sostiene il produttore Carlo Degli Esposti della Palomar -. Amicizia, amore, solidarietà, coraggio, non temere i sentimenti; punti caldi per adolescenti carichi di futuro in un mondo che sogna poco. Piace la condivisione fino alle estreme conseguenze. Un piccolo esercito felice di giocare con quelle emozioni».

Eccoli i ragazzi che hanno reso giustizia alla battaglia intrecciata anni fa dalla Palomar che in Spagna strappò a Spielberg l’acquisto dei diritti per l’Italia nell’ambito di un accordo mondiale. La media dei telespettatori è scesa di 9 anni e un milione di utenti si è unito in una community attiva anche quando la serie non è in onda.

Si sbracciano all’incontro, funestato da una pioggia battente, per le foto di rito con i loro idoli. Chiedere ai ragazzi presenti che cosa ci trovino in una storia che fa piangere dall’inizio alla fine (in modo da favorire gli ascolti, sostengono i detrattori), è illuminante. C’è la ragazzina sulla sedia a rotelle che così si sente meno sola, c’è il bambino che, senza capelli per le cure, non andava a scuola per vergogna e ora viene trattato come un eroe.

D’altro canto, c’è pure chi, sano, ritiene che quella dell’ospedale sia una realtà meravigliosa, da viversi a tutti i costi e che solo lì possano succedere cose belle. Una deriva preoccupante che può fare male. Come si interviene? «Con queste parole – interpreta Campiotti che oramai si sente quasi uno psichiatra – gli adolescenti ci informano che hanno voglia di rapporti veri, di autentiche emozioni. I braccialetti rossi, dico sempre, siete voi, tutti quanti. In fondo la malattia è solo una metafora, non c’è bisogno di essere ricoverati per lottare contro i conformismi».

E mentre già si sta scrivendo la quarta serie, nella terza si è fatto un lavoro pure sugli adulti che gravitano attorno ai protagonisti, sia come medici, sia come familiari. In un equilibrio complesso che vede mixarsi il realismo e la fiaba. «Con un segreto – dice lo sceneggiatore Sandro Petraglia -: il coraggio di parlare di ragazzi malati come fossero normali, loro che non mettono in pausa la vita solo perchè hanno un problema fisico grave. Si innamorano e lottano e questo li aiuta nella battaglia quotidiana». Riconfermato il cast originale, tra i nuovi Lucia Mascino, Luca Ward, Giorgio Marchesi, Francesca Chillemi.

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