Ho sempre sognato di diventare come Hedda Hopper, Louella Parsons ed Elsa Maxwell, tre giornaliste capaci di far tremare il mondo con i loro articoli taglienti, le loro recensioni negative, il loro gusto sopraffino. Loro si che sapevano mettere in ginocchio, aristocratici, divi, re e regine, presidenti e first lady. Tutte e tre coltivarono in gioventù l’ambizione di diventare attrici, anzi dive.
Tutte e tre non avevano ricevuto il dono prezioso e unico, della bellezza. Tutte e tre si dedicarono fino all’ultimo giorno della vita a denigrare il jet set senza rimorsi, senza voltarsi mai indietro. Senza pietà, le signore spifferavano ai quattro venti, all’epoca non c’era ancora facebook, i pettegolezzi del bel mondo. La solidarietà o ancora la generosità non sapevano nemmeno cosa fosse. Se dovevano stroncare una carriera o distruggere un film, loro non ci pensavano su due volte.
Il gossip divenne la loro unica ragione di vita.
La più ironica delle tre, rimane Elsa Maxwell, di cui la casa editrice Elliot, ha ripubblicato, Party – L’arte del divertimento, un collage di buone maniere, di volti patinati, di un’aristocrazia ormai scomparsa, dell’arte del ricevere che non esiste più. Leggendolo ne esce fuori un “sunset boulevard” disarmante. Le regole che detta il suo libro sono un po’ fuori moda ma cosi fascinose che si chiude, di certo, un occhio. Come le regole sui fiori; è fondamentale non lesinare sui fiori, ad esempio, ma non bisogna arrivare al punto di far assomigliare la sala al camerino della grande attrice la sera. I fiori devono risultare belli e gai, ma bisogna saperli scegliere. I gladioli ad esempio vanno benne per decorare gli atri degli alberghi. Oggi nemmeno quello. I gladioli sono passati di moda come molti dei consigli che ci vengono propinati.
Nell’arte d’intrattenere non importa tanto il chi quanto il perché. Non importa quanto si spende, e quanto prestigio si racimola; conta ciò che si ha nel cuore. Ancora di più, conta ciò che si lascia nel cuore degli altri. Dare una festa non vuol dire solo tirar fuori le porcellane migliori e i tovaglioli bianchi delle nozze per poi sperare che tutto vada per il meglio. Si tratta di un atto di amore. Di generosità. Di volontà di condividere. Si tratta della possibilità, che ognuno di noi ha, di accendere una candelina negli angoli bui.
Che cosa emerge da questo memoir dal gusto retrò? Che Elsa Maxwell si divertiva. O sapeva nascondere molto bene che non si divertiva. E che sapeva emergere in un mondo popolato da soli uomini.
Adoro le storie delle donne che hanno saputo farsi da sole! E lei di strada ne ha fatta tanta, viste le sue umili origini. Figlia di una massaia e di un assicuratore ha saputo inventare se stessa. «Non sarà facile per te quando me ne sarò andato, le dichiarò il padre. Sei brutta e grassoccia e via via che passerà il tempo diventerai sempre più brutta e grassoccia». Non potendole lasciare denaro, le dette qualche suggerimento: non tener conto del giudizio altrui, mantenersi libera dalle cose materiali, godersi la vita così come viene, prendere con leggerezza le cose serie, saper ridere di se stessa.
Di questi consigli la Maxwell, allora poco più che ventenne, ne fece tesoro. Ed ebbe un successo incredibile. Socia di due locali notturni a Parigi, consigliera di stilisti, addetta alle pubbliche relazioni per Montecarlo, sceneggiatrice, giornalista, collaboratrice di riviste, conferenziera e soprattutto pettegola.
«Sono sempre stata orribile a vedersi – confessa con disarmante sincerità -. E quando compresi che nessun uomo si sarebbe mai prodigato nei miei confronti, puntai tutte le mie carte sul cervello, il solo organo del corpo umano che ci permette di vendicarsi del prossimo» oancora,«Non è stata una vita facile per una donna che non sarebbe riuscita a sembrare chic neanche indossando una creazione di Molyneux in mezzo ad una riunione di preghiera di Hamish».
Ed è proprio dal suo aspetto e dalla sua ambizione, che inizia la sua favola di “princesse du mal”. Una principessa sprovvista della grazia e del “savoir faire” ma dotata di grande tenacia.
In breve tempo, divenne una delle socialite più richieste del momento, riuscendo a creare eventi e allacciare rapporti sociali tra politica, business e arte, al punto che non solo Alì Khan nel 1948 ricorse a lei per essere presentato a Rita Hayworth e, ma anche Wallis Simpson, neoduchessa di Windsor, negli stessi anni, per imporsi alla casta snob di Park Avenue, accettò di sfilare per beneficenza in un défilé organizzato a New York da Cecil Beaton.
E ancora, con le sue perfide e sottili strategie, fece da Cupido tra Aristotele Onassis e Maria Callas sul famoso yacht Christina in crociera sul Mare Egeo, creando quel love’s affair di cui ancora oggi parlano le riviste di gossip.
“Qualcuno ha detto che la vita stessa altro non è che una festa: uno ci arriva che è già cominciata e se ne va quando non è ancora finita. Bé, quando verrà per me il momento di abbandonare la festa più lunga, non potrò sperare in un epitaffio più azzeccato di quello che il compianto Frederick Lonsdale ha scritto prematuramente per la mia persona: Ha bussato alla porta della storia e ha segnato parte del secolo coi suoi ricevimenti. La sua fama è legata a mille una festa – e non se ne ricorda una noiosa”.
Parlare di Elsa Maxwell significa passare in rassegna un elenco interminabile di personaggi come gli osannati Churchill, Roosevelt ed Eisenhower o ancora coppie a prova di bomba come i duchi di Windsor e coppie destinate a scoppiare come Cary Grant e Barbara Hutton. Conoscere la Maxwell significa sapere tutto di tutti. Come non ricordare il vezzo di Enrico Caruso che serviva ai suoi ospiti pizza spruzzata di cipria, Scott Fitzgerald che non smaltiva né le sbronze né i complessi di inferiorità, Greta Garbo radiosa, solitaria e piena di paure, il bravo, buono e bello Gary Cooper, Hemimgway che si vantava troppo della sua virilità e fa sorgere qualche dubbio, l’incazzoso seduttore Gianni Agnelli che sfasciava fidanzamenti e automobili, Albert Einstein che amava suonare il violino piuttosto che spiegare la teoria della relatività, Charlie Chaplin che improvvisava pantomime per gli ospiti.
E’ stata la regina indimenticata dei salotti di mezzo mondo, dai suoi adorati Stati Uniti ai dorati palazzi della nobiltà europea, dal Ritz di New York al Maxim di Parigi, dal Lido di Venezia alla Costa d’Azur. Il suo motto era: «Ho mirato alla luna, e l’ho raggiunta»; prima, però, si era concessa un bel giro sulla Terra, in compagnia di «parecchi presidenti degli Stati Uniti, una dozzina di re e metà dei titolati dell’Almanacco del Gotha». “Quando Maria Callas viene a una mia cena e il giorno dopo mi fa recapitare un mazzo di rose con un biglietto scritto di suo pugno, be’, io sono semplicemente fuori di me dalla gioia”.
La regola numero uno di Elsa Maxwell per un party strepitoso riguarda la padrona di casa. “Se si vuole avere successo come padrona di casa, bisogna dare alla gente quel che non si aspetta. Bisogna sbarazzarsi delle regole, a parte quelle dettate dalla discrezione e dal buon gusto. Bisogna prendere in mano il timone e far lavorare l’immaginazione. Bisogna dar feste secondo le regole della propria personalità, del proprio gusto, del vostro portafoglio. Ma bisogna ricordare che tutti i soldi del mondo non bastano a fare una valida padrona di casa. Non sono i soldi a decidere la riuscita della festa, ma la persona che la organizza.
Chi organizza una festa deve stupire, lasciare tutti a bocca aperta, divertire e épater come dicono i francesi.
La Maxwell sapeva fare tutto ciò e organizzò ad Hollywood una festa a tema gastronomico. Una sorta di Masterchef ante litteram, che vide la partecipazione in veste di chef, divi e divine dell’epoca tra cui Joan Fontaine e Claudette Colbert. Il primo premio, fu conferito ad un uomo: Clarke Gable, il re di Hollywood. A Londra inventò una caccia al tesoro con così tanti invitati vip che arrivò la polizia e poi il Principe del Galles a dileguarla. Come non ricordare, poi, la festa a tema bucolico nella Sala della Giada del Waldorf Astoria, a New York. La sala da ballo del lussuosissimo albergo fu trasformata in uno scenario così verosimile che perfino i maiali si sentirono a loro agio. C’erano meli, un pozzo, mucchi di fieno, i famosi maiali e addirittura un porcaio fatto arrivare dall’Ohio. Cecil Beaton si presentò mascherato da spaventapasseri con due passeri impagliati sulle spalle. I duecento uccelli che gorgheggiavano a squarciagola, chiusi in gabbia e a fine serata regalati agli ospiti come cotillon. E infine il ballo di beneficenza April in Paris, dove la Maxwell vestita da maharaja stupì gli invitati e la regina Giuliana dei Paesi Bassi, facendo partecipare alla festa alcuni elefanti presi in prestito da un circo. L’enorme quantità di cacca scaricata dai pachidermi sui marmi e sui tappeti persiani verrà giudicata foriera di buona fortuna.
«Festicciole senza pretese e banchetti pantagruelici» li definisce Elsa, regina senza rivali del gossip. Essere la regista di quei party è per lei «pura gioia, puro piacere». Ma non bisogna dimenticare che una padrona di casa di successo deve essere o amata o temuta, o essere una donna importante. Serve una personalità amabile. Può essere intelligente o stupida, graziosa o ordinaria, ricca o povera, può svolgere qualunque professione ma l’amabilità è un fattore intangibile.
Poteva non essere amabile Diane Vreeland, direttore di Harper’s Bazaar e poi di Vogue? O ancora Rosalind Russel, Loretta Young e Marlene Dietrich? Per non parlare delle signore dell’upper class di Manhattan come le Rubinstein, le Winston, le Woodward.
Fondamentale per la riuscita di un party è l’umorismo ma soprattutto la conversazione. Bisogna tenere un archivio mentale di aneddoti brevi e appropriati alle circostanze, anche di domande stimolanti, a cui ricorrere per rilanciare la conversazione o riempire dei vuoti”. E poi, mai dimenticare di mescolare con intelligenza gente molto diversa. Ognuno, però, deve portare il suo valore aggiunto. Per Miss Maxwell gli ospiti perfetti erano la Duchessa del Devonshire, Mrs Clare Boothe Luce, il principe Ali Khan, il Duca di Verdura, Mr Cole Porter, Mr Noel Coward e naturalmente Madame Callas, una delle donne più affascinanti del secolo scorso, ma soprattutto il più grande genio creativo in ambito operistico.
Tra le pagine si ritrovano anche i consigli per liberarsi dai criticoni (quelli che vanno alle feste solo per trovarne le pecche) e dai seccatori (un aspirapolvere sociale che risucchia tutto quello che incontra senza dare niente in cambio). Come ci si difende: mettendoli tutti allo stesso tavolo. Non solo un ospite va sacrificato.
Che a tavola siedano teste coronate o nuovi ricchi, la padrona di casa dovrà fare attenzione al passaggio più delicato, la fine del pasto: «Dopo cena può esserci un momento morto. La novità è svanita, la conversazione potrebbe iniziare a vacillare, la noia a stendere un velo di polvere su stomaci e menti appagate. E’ qui che viene alla luce il talento della padrona di casa. Se è saggia si limiterà a tenere sotto controllo l’andamento della serata, serbando un qualche asso nella manica che sfodererà solo nel caso in cui la fase letargica minacci di protrarsi oltre il dovuto. Quando si dà una cena bisogna prepararsi a gestire la bonaccia che segue la gozzoviglia»
E infine gli ultimi consigli: invitare più uomini che donne. Le donne sole a un party sono pericolosissime. Se organizzate una festa in casa, per l’amor di Dio, tenetene fuori i bambini. Anche i più portati per la vita sociale sono per la maggior parte della gente una vera iattura. Stesso trattamento viene suggerito per i cani e gatti: l’ideale è «isolarli in cantina». E poi se si ha qualche ansia, si bevono due robusti drink e per il resto della serata sembrerà di volare sulle ali dell’entusiasmo. Solo così la serata decollerà meglio!
Chiude il libro una rassegna di ricette delle signore dei ricevimenti di tutto il mondo a cui Elsa Maxwell ha preso parte, elogiandone l’eleganza della mis en place e soprattutto la raffinatezza delle portate. Ricette un po’ pesanti, a mio avviso, come il fagiano en casserole di Mrs Garret, il soufflé di pesce e formaggio di Margaret Case, le crepes canarius al curacao, all’arancia e al cointreau, i cuori di carciofo ripieni au gratin e il gumbo di pesce alla creola di Joan Fontaine, il consommé vert-pré che Mrs Vreeland usava offrire alle sue cene. Loretta Young era brava nel preparare il riso pilaf per accompagnare qualunque piatto di carne o di pesce in salsa cremosa, mentre la più celebre Rosalind Russel, diventata famosa per aver dato il volto a Zia Mame, era bravissima a preparare il Vitello con panna Acida.
Il consiglio migliore lo fornisce Mrs Ballard, l’ex modella e consulente di moda, Bettina, che dichiara: il modo migliore per mangiare bene, è quello di disporre di un bravo cuoco!