Gli sceneggiatori americani lo chiamerebbero turning point. Per Bebe Vio, senza scomodare i manuali di scrittura, è stato «semplicemente» un intervallo. Certo, scendere da una pedana sulle proprie gambe e risalirci due anni più tardi in carrozzina con i quattro arti protesizzati, potrebbe già di per sé far gridare al miracolo. Eppure, come in ogni punto di svolta che si rispetti, la vera impresa della fiorettista azzurra è stata conservare determinazione e forza di volontà al cospetto di una grave malattia, la meningite, che l’ha colpita giovanissima.
Il protagonista resta se stesso, affronta la difficoltà e ne esce più maturo, ma non stravolto. Così è stato per Bebe, che già a nove anni si candidò e fu eletta al consiglio comunale dei giovani di Mogliano Veneto grazie al suo impegno per la sicurezza sulle strade. Dalla lettera al sindaco per la costruzione di una pista ciclabile, quando ancora frequentava le scuole elementari, al recente selfie con Barack Obama alla Casa Bianca, che ha rotto il protocollo imposto al presidente degli Stati Uniti. E’ sempre lei, caparbia, con la sua energia che sposta le montagne.
Che, ancor prima di concludere i suoi terribili 104 giorni in ospedale, la spinse a chiedere ai medici quando sarebbe potuta tornare in pedana. Qualcuno, vien da pensare, avrà sorriso sotto i baffi. Come spiegare ad una bambina di appena undici anni che, senza gli avambracci, è quasi impossibile praticare la scherma? L’immagine di lei che, in attesa del guanto speciale, fissa col nastro adesivo la lama alla protesi prima di un provino, è la cartolina che ribalta la prospettiva: la vera impresa non è gareggiare in quelle condizioni, bensì convincerla del contrario.
«Niente è impossibile» è il suo mantra. Lo era prima della malattia, quando lasciò la ginnastica artistica perché «al saggio di fine anno non vinceva nessuno», e lo è rimasto dopo, costretta per una questione prettamente anagrafica a guardare da spettatrice i Giochi di Londra 2012. Era troppo presto, oro paralimpico rinviato di quattro anni: Bebe ragiona così, per obiettivi, li fissa e poi li raggiunge . Prova ne è il suo percorso riabilitativo: entrata nella struttura specializzata a giugno 2009, si impuntò che ad agosto sarebbe dovuta andare all’Isola d’Elba. Così è stato.
In nove settimane ha ricominciato a muoversi e camminare in autonomia. Grazie al sostegno della famiglia, che nel frattempo ha fondato art4sport, una ONLUS che incentiva la pratica sportiva dei bambini che hanno subito amputazioni. E grazie anche agli inseparabili amici che le portavano la pizza in corsia, al proverbiale carico di autoironia col quale sorride delle sue mancanze fino a usare la protesi come selfie-stick, e alla musica del «fratello» Jovanotti, che le ricorda ogni giorno come – nonostante tutto – lei si possa considerare «una ragazza fortunata».
In barba a tutti gli stereotipi e ai velenosi condizionali di «quel che sarebbe potuto essere se». Guai a chiamarla «poverina»: Bebe soffre, combatte, esulta, perché è felice di ciò che ha e di ciò che fa. Come testimonianza porta un sorriso enorme stampato sul volto, in mezzo a quelle cicatrici alle quali adesso può dirsi quasi affezionata, perché rappresentano il punto di contatto tra la Beatrice che era e la Beatrice che è. «Progetti per il futuro? Intanto vado a vivere da sola», ha rivelato aspettando oggi, 4 marzo, giorno del suo ventesimo compleanno.
Il nuovo capitolo, di una vita da film.