Miriana Trevisan: «Scappai da Tornatore quando lui mi spinse al muro, e mi mise le mani sul seno»

«È una storia di vent’anni fa. Probabilmente lui neanche se ne ricorda. Ma io si. E ricordo anche molto altro». Lo sguardo è malinconico, non rabbioso, ma deciso a parlare. Siamo a casa sua, davanti a due tazze di tisana.
Lei è Miriana Trevisan, napoletana, 44 anni, un figlio di otto, un viso dai lineamenti che sembrano disegnati al carboncino. Non aveva mai raccontato nulla di quello che le è successo dietro le quinte, nel corso di una carriera iniziata ai tempi del popolarissimo programma televisivo Non è la Rai, nei primi Novanta, tra alti e bassi, lunghe sparizioni, ritorni e un sogno ricorrente: diventare un’attrice di cinema.

Due settimane fa lei ha scritto un articolo sul sito Linkiesta in cui afferma che, sull’onda di questo grande dibattito mondiale sulle molestie, le sono tornati alla mente una serie di episodi. Per esempio?
«Per esempio, appunto, vent’anni fa, andai negli uffici di Giuseppe Tornatore. Era un appuntamento che mi aveva organizzato il mio agente. Non era un provino, ma un primo incontro in vista di un film in lavorazione, La leggenda del pianista sull’Oceano. C’era una segretaria che mi accolse ma poi se ne andò. Rimanemmo soli. Dopo qualche tranquilla chiacchiera sul film, quando ci stavamo salutando, il regista mi chiese di uscire con lui quella sera per andare a mangiare una pizza. Io risposi che avevo già un impegno, lo ringraziai e mi alzai per andarmene. Lui mi segui fino alla porta, mi appoggiò al muro e cominciò a baciarmi collo e orecchie, le mani sul seno, in modo abbastanza aggressivo. Riuscii a sfilarmi e scappai via. Ero entrata sentendomi una principessa, a un passo da un sogno che si realizzava, pensavo “forse farò un film con un regista premio Oscar” e sono uscita sentendomi uno straccio. Non riesco a dimenticarmi il suo sguardo: incantato al mio ingresso, pieno d’odio mentre uscivo. Come se avesse scoperto che il giocattolo erotico aveva la batteria scarica. Mamma, quanto ho pianto».

È consapevole delle accuse che sta muovendo?
«So benissimo che è la mia parola contro la sua».

Era la prima volta che le succedeva una cosa del genere?
«Con qualcuno del mondo del cinema sì. Anni prima avevo fatto un provino con il direttore casting del film Il Postino ed era stato tutto superprofessionale. Non mi presero, ma ero contenta lo stesso di esserci arrivata. Ancora oggi conosco le battute a memoria».

E in televisione?
«Guardi, tutti pensano che a Non è la Rai succedesse chissà che cosa perché era una trasmissione piena di belle ragazze, ma io ci sono sempre stata benissimo. Ho avuto una grande delusione solo quando scoprii che il corso di dizione e recitazione che ci avevano promesso era una bufala. Anche a Striscia la notizia trovai un ambiente gentile e professionale».

Ci fu un momento in cui era molto presente in televisione.
«Sì, ero popolare. In quel periodo, per farle capire il clima, una produttrice e suo marito organizzavano spesso cene invitando noi ragazze della televisione insieme ad altri ospiti che di solito erano uomini facoltosi che, a fine serata, cercavano di accompagnarti a casa e spesso ci provavano. Smisi di andarci. Un giorno venni chiamata per un colloquio a Roma da un pezzo grosso della televisione. Siamo in un piccolo studio, lui mi ripete che sono adatta per il cinema, che conosce Tizio e Caio, che lui mi potrebbe aiutare. Poi cambia discorso e mi domanda come va la mia vita sessuale, che cosa faccio con il mio fidanzato e altre indiscrezioni del genere. Io non rispondo, ma lui esce dalla scrivania, mi si avvicina e cerca di infilarmi la lingua in bocca. Io mi allontano, mi affaccio sul corridoio, incontro una sua collaboratrice, una donna deliziosa che mi dice: “Hai ancora il rossetto, non ti vedremo più”. Ho capito che era fiera di me e al tempo stesso dispiaciuta per me, per il mio futuro».

Che cosa è successo, dopo?
«Da quel momento la mia carriera in tivù è rallentata, nessuno mi ha cacciato, ma nessuno nemmeno mi ha dato opportunità per crescere. Quelle come me, quelle che non ci stavano, venivano bandite da feste, inviti, occasioni di visibilità e pubbliche relazioni. C’era anche un nome per noi».

Quale?
«Figa bianca».

Dal 2004, lei ha lavorato sempre meno in tivù. Come si è mantenuta?
«Ho fatto tante cose, le stesse che faccio ancora: presento convention, serate in piazza e poi dipingo e ho scritto dei libri di favole per bambini. Cerco di tenere viva la mia creatività. Quando è scoppiato il caso Weinstein ho scritto di getto quell’articolo. Il mio compagno, che collabora al sito Linkiesta, mi ha convinto a pubblicarlo».

Una decina d’anni fa ci siamo incontrate sul set di un film in Puglia, nel cast c’era Don Johnson, che io ero venuta a intervistare per Vanity Fair. Il film si intitolava Bastardi. Come ci era finita?
«Avevo fatto un regolarissimo provino con il regista Andres Maldonado. Mi presero e io, per prepararmi al ruolo, che era da co-protagonista, presi un coach per studiare il copione, investendoci tempo e denaro. Peccato che anche quella fu una delusione».

Racconti.
«Il produttore, Massimiliano Caroletti, mi diede il tormento per giorni. Io ero sconvolta dalla sua sfacciataggine anche perché stava per arrivare sul set sua moglie, Eva Henger. Lo rifiutai in tutti i modi. Un bel giorno mi chiamarono per dirmi che il copione era cambiato: avevano tagliato quasi tutte le mie scene».