C’eravamo tanto amati, il nuovo libro di Bruno Vespa

C’ERAVAMO TANTO AMATI Amore, politica, riti e miti. Una storia del costume italiano, Mondadori
L’Aquila e Maastricht sono due città intermedie della Vecchia Europa, separate tra loro da 1.500 chilometri ma sono anche l’alfa e l’omega della narrazione di Bruno Vespa, che nel suo consueto libro di fine anno (C’eravamo tanto amati, Mondadori Rai Eri) per una volta ha messo da parte quasi del tutto la politica e si è dedicato all’evoluzione del costume nazionale. Come sono cambiati gli italiani in cent’anni. Come amano, mangiano, vestono e spendono i loro soldi. Vespa per una volta mette da parte la politica e si occupa dei costumi nostrani, dell’Europa e delle speranze per il futuro.
Il titolo libro ricalca quello del celebre film di Ettore Scola (1974) che, attraverso il racconto della vita di tre amici, ripercorre gli ultimi trent’anni di storia del nostro paese.
Ma l’arco temporale analizzato è assai più vasto: infatti, pur partendo dall’ultimo dopoguerra, ci si spinge spesso molto più indietro, come nelle pagine dedicate alle forme di comunicazione interpersonale, in cui Vespa, riportando brani di lettere celebri, si chiede come sarebbe possibile esprimere oggi gli stessi sentimenti con un sms o una e-mail.
Questo libro su «come eravamo» è un’analisi del mutamento dei nostri costumi in ogni settore: dall’amore alla cucina, dagli stipendi ai consumi, dalle vacanze all’abbigliamento, dal cinema alle canzoni, dall’economia prima dell’euro a quella dopo l’euro, dalla politica del Regno d’Italia alla Terza Repubblica. Il fascino delle lettere d’amore sostituito dagli sms, il formidabile cambiamento della sessualità femminile, i matrimoni che duravano una vita e quelli che oggi non superano in media i sedici anni, il boom delle nascite e le culle vuote, l’entusiasmo della ricostruzione e i vincoli che ci hanno frenato, l’esplosione di Internet e la schiavitù pericolosa del web, i viaggi in treno in terza classe e quelli in Frecciarossa e sui voli low cost, gli stipendi un tempo aumentati più dell’inflazione e adesso stremati dall’euro e dalla crisi, le pensioni concesse dopo soli 14 anni di servizio e quelle ora talvolta negate anche a chi è anziano, gli emigranti di un tempo e i «cervelli in fuga» di oggi, le lunghe villeggiature di una volta e i weekend mordi e fuggi, gli Airbnb al posto degli alberghi e i Car2go al posto dei taxi, i playboy che battevano le spiagge romagnole e i bruti che violentano le ragazzine. I film, le canzoni, gli spettacoli televisivi che ci hanno commosso, divertito, accompagnato.
Al tempo stesso, queste pagine sono un invito all’ottimismo. Perché dobbiamo rassegnarci al fatto che le ultime grandi opere pubbliche a Roma le abbia realizzate il fascismo? Perché la meraviglia del «miracolo economico» – che pure rileggeremo in controluce – non è ripetibile? Perché non dobbiamo ribellarci all’idea che l’autostrada del Sole sia stata completata in 8 anni e ce ne sono voluti 33 per la variante di valico tra Firenze e Bologna? Può accadere di nuovo che imprenditori e lavoratori marcino insieme come fecero nel dopoguerra per creare il benessere comune? I dirigenti e gli impiegati dello Stato capiranno che senza la riforma dei loro uffici siamo un paese morto? E i giudici rifletteranno sul fatto che, dopo Brexit, le banche inglesi sceglierebbero l’Italia se non temessero l’incognita della nostra magistratura? C’eravamo tanto amati, il bel film di Ettore
Narrando dell’Italia, Vespa ci racconta anche molto di sé. Il papà che per un periodo fa il rappresentante della Liebig, la madre contenta dell’arrivo in casa di frigidaire — allora si chiamava così — e lavatrice nettamente contraria però alla lavapiatti («è un lusso»). Un mondo nel quale «ogni giorno era nuovo di zecca», il cielo era stellato ed esisteva il grande mercato di piazza Duomo dove le primizie erano tali e l’unico frutto esotico era la banana e soprattutto un mondo in cui un giovane giornalista poteva redigere a soli 18 anni la nota politica locale sulle colonne del «Tempo».

Vespa ci racconta dell’intera collezione di «Linus» messa insieme con suo fratello, del poster di Snoopy che si porta dietro nei suoi traslochi, dei turbamenti davanti al fascino non solo tennistico di Lea Pericoli, dell’arrivo a Roma e delle differenze tra provinciali e capitolini. «Ogni giorno contavo quanta parte del mio abbigliamento era aquilano e quanta romana». La Roma di allora sembrava essere il centro dell’universo e complessivamente il libro ci offre il ricordo di un Paese che cresce, che si trasforma mantenendo al centro la forza tranquilla di un ceto medio larghissimo e che garantisce stabilità.
Dedicatosi a rileggere i mutamenti del costume italiano, Vespa concede alla politica pochissime pagine in zona Cesarini ma almeno tre giudizi da lui vergati meritano di essere riferiti. La figura di Luciano Lama è accostata a quella di un renziano ante litteram, lo scrittore Luciano Bianciardi è considerato il primo profeta della decrescita e quindi una sorta di zio dei Cinque Stelle e per Luigi Di Maio il soprannome prescelto è assai impegnativo: addirittura Andreotti 2.0.

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